Negativo n°25. La quintessenza della vita in ciascuno di noi

(di Marcella Valvo)

“Certe volte non scatto

Se mi piace il momento, piace a me, a me soltanto.

Non amo avere la distrazione dell’obiettivo.

Voglio solo restarci. Dentro.”

 

“Restarci dentro.” Ripete Walter Mitty. Dentro a quell’attimo effimero di bellezza. Dentro a quel momento irripetibile di contemplazione. Dentro alla vita, quella vera.

Siamo sulle montagne dell’Himalaya e no, non è l’ennesimo sogno a occhi aperti del protagonista. Il fotografo Sean O’ Connell ha trovato il leopardo delle nevi, a lungo cercato, ma non lo immortalerà come aveva programmato. Vuole solo guardarlo.

È da tanto tempo che volevo vedere “I sogni segreti di Walter Mitty” e finalmente, grazie a un gruppo di Amici, ne ho avuto l’occasione. Un’avventura che all’inizio sembra relegata nella testa del protagonista, anonimo impiegato presso il colossale Life magazine, che per fuggire da un’esistenza che sente monotona si immagina immerso in straordinarie imprese. Questo fino a che un evento particolare non lo costringe a mettersi in viaggio per davvero: Sean O’ Connell è sparito e il negativo n°25, la sua foto che avrebbe dovuto diventare la copertina dell’ultimo numero della rivista, è introvabile quanto il suo autore. Walter, addetto allo sviluppo negativi, non può fare altro che partire alla sua ricerca.

Ma è così vero che non poteva fare altro? Prima poteva essere il licenziamento in ballo, ma una volta esaurito il problema…? Walter poteva lasciar perdere, dimenticare, arrendersi. Ma non lo fa: Sean lo chiama e lui risponde. Forse perché l’avventura in realtà lo chiamava da sempre e lui, semplicemente, è arrivato a un punto in cui immaginarla non gli basta più. Io credo che quella tensione fosse in lui da sempre, addormentata ma pronta a eruttare come il vulcano islandese da cui si ritrova a scappare. Tutto vero eh, mica un sogno.

La ricerca del famoso negativo, che Sean definisce “la quintessenza della vita”, mi ha portato inevitabilmente a domandarmi cosa essa sia. Cosa sia per Sean, certo, ma anche cosa sia per me. Cos’è per te la quintessenza della vita?

Mi sono immaginata gli spettatori di questo film, che fossero in una sala del cinema o in casa propria, chiedersi e riflettere su cosa ci fosse su questo misterioso negativo. Un paesaggio mozzafiato? Un riflesso di luce su un’iride? Un sorriso? Quanto dice di noi quello che abbiamo immaginato?

Come il tesoro ne L’Alchimista di Coelho era molto più vicino a Santiago di quanto il ragazzo non potesse sognare, così il negativo n°25 è sempre stato a portata di mano di Walter. Eppure c’è stato bisogno che scalasse l’Himalaya per scoprirlo, trovando Sean e forse un po’ anche se stesso. La foto del leopardo delle nevi non verrà mai scattata. Forse perché “le cose belle non richiedono attenzione”, forse perché l’importante è solo “stare”.

Si parla tanto di re-stare in queste settimane. “Se potete, re-state a casa.” E mi vien da dire che forse è anche un invito da cogliere su come re-stare. Stando nel momento, nell’istante. Questo isolamento forzato può condurre a tanta noia, tanta esasperazione, ma ci costringe anche a fare i conti con noi stessi, a stare con noi stessi, a vivere lo spazio che ci circonda più intensamente di prima. Forse ci è chiesto di trovare la bellezza anche in questo. Re-stare.

E come il mio amico Giovanni si domandava, Walter Mitty ci pone di fronte a un altro enigma. Il titolo originale del film è “The secret life of Walter Mitty”. La vita segreta. Qual è la (vera) vita segreta di Walter Mitty? Sono i suoi sogni a occhi aperti o c’è dell’altro?

To see behind walls” – recita lo slogan di Life. Vedere oltre i muri.

Guardiamo Walter alla fine del film e vediamo il solito anonimo impiegato che passeggia con una donna. Eppure quell’invisibile addetto allo sviluppo negativi è volato in Groenlandia, si è buttato da un elicottero nell’oceano, è arrivato in Islanda a bordo di un peschereccio, ha scalato l’Himalaya ed è stato detenuto per 17 ore dalla polizia di Los Angeles per un malinteso. E ora passeggia con la donna di cui è innamorato e alla quale non era mai riuscito a chiedere un appuntamento.

Sean O’ Connell ha chiamato Walter perché riteneva che fosse l’unico a capire davvero il suo lavoro, a dargli un senso compiuto, e probabilmente aveva ragione. Eppure noi guardiamo Walter e… cosa vediamo di tutto questo?

Credo che ognuno abbia una sua vita segreta. Fatta di sogni, certo, ma anche di imprese, piccole e grandi, gesti d’amore quotidiani troppo spesso dati per scontato, tensioni e desideri, passi avanti e passi indietro.

La quintessenza della vita è racchiusa in ciascuno di noi, dobbiamo solo guardarci e guardare, davvero però, e ricordarci di celebrarla questa vita, sempre.

 

“Beautiful things don’t ask for attention.”

The shape of water

(di Federica Tosadori)

Qual è la forma dell’acqua? Cos’è la forma dell’acqua? Perché la forma dell’acqua?

Allora diciamo così: io non sono capace di scrivere recensioni. Mi riesce molto difficile parlare di libri, valutarli, commentarli, sentirmi legittimata a fare una critica o semplicemente credere di poter avere voce in capitolo (voce in libro, per essere più precisi). I miei amici dicono che non ho spirito critico. È vero, lo riconosco, me lo dico da sola. A me piace tutto. Cioè, noto sempre per primi i lati positivi di ciò che leggo, di ciò che guardo. Ci devo pensare sempre un po’, mi devo impegnare davvero a trovare gli aspetti negativi – a meno che non siano palesi del tutto – di qualcosa che non è fatto da me, s’intende.
Bè, cosa volete, voi ce l’avete il senso critico? Bravi! Se ne siete convinti fatene l’uso che preferite.
Io ci provo a scrivere una recensione adesso, ma non vi garantisco niente. E poi non si tratta nemmeno di un libro.

The shape of water è un film del 2017, ideato, scritto, prodotto da Guillermo del Toro (non da solo, ma si sa…), ah, anche la regia è fatta da lui; premiato al Festival di Venezia, ha ricevuto tredici nomination agli Oscar ecc.
Giusto saperlo, per rompere il ghiaccio. Ad alcuni importano un sacco queste cose. Non so dire se tutto questo sia meritato, però sono dati da tenere in considerazione. La trama? Bè quella non ve la posso raccontare (l’amica con cui sono andata a vedere il film mi ha consigliato di non farlo, perché a volte si leggono recensioni che non fanno che parlare di quello che succede, ma per scoprirlo basta vedere il suddetto film no?)

Quindi, che cosa potrebbe interessarvi? Il mio personale parere? In questo caso sono stata felice del mio mancato spirito critico. Non averlo in certi casi mi permette di osservare senza pormi troppe domande, senza ricamare un’idea aprioristica: mi soffermo semplicemente sulle sensazioni, assaporo il gusto dei colori, la luce che arriva dallo schermo, mi immergo nelle musiche e non giudico più di tanto. Atteggiamento sentimentalistico? Può darsi! È una favola, questa storia, surreale e romantica, acida a tratti, cattiva e scorretta, poetica. È tutto un gioco di simboli e messaggi segreti, è Guillermo del Toro in fondo. La verità è che non è un film particolarmente sorprendente (un’altra mia amica mi ha detto che aveva capito già tutto, compreso il finale, nei primi venti minuti e un’altra ancora l’ha trovato molto noioso), però quello che ho fatto è stato lasciarmi trasportare dal racconto, fluidamente, scorrendo tra le scene, gli scorci, i colori vividi e scuri, i dettagli.

Si è parlato di storia d’amore, lo è effettivamente. Ma soprattutto, secondo me, si racconta di barriere che si infrangono, della paura e dell’ansia del non saper – e poter – esprimere la propria diversità, o ciò che viene ritenuto tale dal pensiero dominante; è anche una storia di ribellione, di presa di posizione, necessaria ad abbattere i mostri bianchi con cui si ha a che fare quotidianamente, senza nemmeno rendersene conto, fino a che non arriva un mostro nero (verdino in questo caso) in cui ci si riconosce come in uno specchio, e allora si è costretti a farsi delle domande, a ribaltare lo sguardo. Tante sfumature umane creano un quadro variopinto e divertente, vanno oltre una visione scientifica o di potenza.

«A volte ho paura che io sia nato troppo presto o troppo tardi rispetto alla mia vita» dice Giles, uno dei personaggi principali, nonché narratore dell’intera vicenda.
Non credo possano rappresentare l’intera pellicola, però queste parole mi sono vorticate nella mente per un po’, insieme al personaggio meraviglioso che le esprime; Giles incarna l’inquietudine di chi si sente solo, di chi non ha molto per cui resistere, di chi ha bisogno, magari, di una creatura da proteggere, da salvare, da riportare in libertà, qualcuno a cui dedicarsi, che ricambi un affetto puro. E non sto parlando dell’anfibio.

Mi spiace di non saper dire di più, perché davvero credo che il linguaggio del nostro Del Toro sia incredibilmente interessante, ricco di profondità da sondare, e volendo si potrebbe delineare un accurato sistema di paragoni e parallelismi tra questo film e gli altri da lui diretti, dove spesso il Mondo Altro rappresenta un’alternativa di molto migliore alla nostra realtà di guerre fredde e calde, dittature, soprusi e altre carinerie di ogni sorta, pur con tutte le sue fantasticherie inspiegabili e il mistero su cui si fonda.