Promemoria per un anno di libri

(di Isabella Gavazzi)

È vero, la lista dei buoni propositi per migliorare le nostre abitudini giornaliere, da che mondo è mondo, si fa il primo di gennaio, dopo i bagordi di capodanno, ma all’atto pratico il vero momento in cui la vita intera ricomincia è settembre. Sarà per un retaggio legato alle tempistiche scolastiche, o forse perché, dopo il mare, il sole e le giornate lunghe, l’idea di tornare uguali a prima non convince molto. La questione dei buoni propositi si può declinare anche all’ambito della lettura, per evitare di arrivare a marzo dicendo “ecco, non ho letto ciò che volevo leggere in questi mesi!”.
La vita frenetica non aiuta, ma con una buona pianificazione vedrete che riuscirete a far tutto, lettura compresa.

1. Fare una scaletta di cosa si vuole leggere

Tutti abbiamo titoli che ci girano per la testa e che da sempre vogliamo leggere… Scriveteli nel planning di lettura! L’importante è essere onesti con voi stessi e chiedervi se è realistico che possiate leggere dieci libri al mese facendo un lavoro full time e seguendo il personal trainer tutte le sere. Se la risposta è no, scegliete uno o due titoli. Per rendere il tutto più ufficiale, sull’agenda create una tabella con i titoli, quando li avrete letti e in quanto, più una zona per le annotazioni di cosa vi ha lasciato, cosi sarà più facile ricordarli a distanza di tempo.

2. Ritagliare dei momenti per leggere

C’è chi legge prima di dormire, chi in bagno, chi sui mezzi di trasporto. I momenti per prendere in mano un libro possono essere innumerevoli durante la giornata, l’importante è volerlo fare, altrimenti lo smartphone, tablet e mail avranno il sopravvento. Datevi dei tempi e dei paletti: se leggete fate solo quello, via cellulare e TV spenta, così vi godrete appieno il momento.

3. Partecipate a eventi legati alla letteratura

Non sembra ma circondarsi di persone e attività stimolanti invoglia a continuare su questa strada, quindi iscrivetevi alle newsletter di biblioteche, comuni e circoli culturali, andate a presentazione di libri o conferenze sul settore. In questo modo farete sicuramente fruttare una serata e verrete in contatto con persone nuove ma al tempo stesso accomunate dalla stessa passione.

4. Parlate di libri

Vi è piaciuto molto l’ultimo romanzo letto? Ditelo al collega, alla moglie o al vicino di casa! Condividere ciò che ci è piaciuto aiuta la memoria a ricordare e a sviluppare un pensiero critico, oltre che interessare gli altri alla cultura!

5. Comprate qualsiasi editore

Va bene la comodità delle grandi catene di librerie, ma così facendo ignorerete molti libri che sono dei gioielli nascosti. Andate alle fiere dell’editoria, perdetevi tra i tanti banchetti dai nomi nuovi e fermatevi a chiacchierare con chi li gestisce. Scoprirete che dietro ai libri di sono persone che possono consigliarvi, guidarvi e farvi conoscere testi stupendi. Il rapporto umano e di amicizia che si può creare sarà un valore aggiunto impagabile.

Quali sono le vostre tattiche per leggere durante l’anno? Avete già fatto la lista di libri da leggere? Commentate numerosi e…buona lettura!

Sul senso della storia

(di Andrea Lionetti)

Di fronte alla battaglia di Gaugamela, all’incoronazione di Carlo Magno, alla redazione della Bill of Rights, all’atomica su Hiroshima e a migliaia di altri fatti nessuno avrebbe difficoltà a riconoscervi la storia. Ma alla domanda “che cos’è la storia?”, come spesso accade davanti a quesiti dello stesso tipo, inerenti a parole e concetti che abitualmente usiamo, non c’è studente che non dimostri almeno un minimo di titubanza prima di azzardare una risposta, qualunque essa sia.

Eppure esiste un’altra certezza da cui partire: la storia (e la storiografia) è nata in Grecia, nella seconda metà del V secolo, quando un greco di Alicarnasso decise che “le imprese meravigliose compiute sia dai Greci sia dai barbari” non rimanessero prive di fama.
Che la storia sia un’esposizione di fatti conseguente a una ricerca condotta con una ben precisa serie di metodi è ormai assodato da secoli. Ne era persuaso Erodoto, non da meno furono i suoi successori, in particolare Tucidide, il primo autore della storiografia occidentale a interessarsi di fatti a lui contemporanei, la guerra del Peloponneso.
Basterebbe questa definizione, per quanto esaustiva, a colmare la vastità del problema?
Si provi a rispondere con un’altra domanda: perché questa esigenza di raccontare? Erodoto tace a riguardo, probabilmente non aveva bisogno di pronunciarsi su un argomento ormai chiaro e assimilato da una riflessione secolare posta alle sue spalle. Ciò che gli importava era mettere sul piatto l’obiettivo del suo lavoro (le imprese dei Greci e dei barbari) e i metodi usati nel suo laboratorio di storico.

Nell’incipit delle sue Storie c’è una parola che sfugge alla nostra attenzione, perché piuttosto ovvia ai nostri occhi, e spesso legata a contesti culturali avvilenti: “fama”.

La fama, o la gloria, era per i Greci una cosa seria: nell’Iliade è la forza che tutto muove, nell’epitafio di Tucidide che lo storico attribuisce a Pericle è la ricompensa per aver servito Atene nel migliore dei modi, perdendo la vita, o sacrificandola in battaglia, per meglio dire.
È la morte che la gloria tenta di sconfiggere, senza riuscirci dice Achille ormai cadavere, nell’Ade, in uno dei passi più commoventi dell’Odissea. Nella celebre orazione di Pericle, tutta protesa verso un’immagine idealizzata della democrazia ateniese, l’illusione riprende vita, fino a quando la polis uscirà devastata dallo scontro con Sparta, e umiliata dall’esperienza tirannica dei Trenta.
Ma cosa ha a che fare tutto questo con le ragioni dietro alla ricerca e alla narrazione storica?

La scelta di citare Omero e poi uno storico, Tucidide, non è casuale.

La storia e la poesia hanno la stessa matrice, entrambe sono figlie della presa di coscienza della nostra condizione, della precarietà dell’esistenza che ci ha condannato alla memoria. Come scrisse il Mazzarino: “il pensiero storico dei Greci si connette anche con la loro poesia, in un certo senso è nato come poesia”.

Le imprese su cui si tace muoiono, e questo valeva sia per Omero che per Erodoto. Vogliamo ricordare. Dobbiamo ricordare, perché non c’è scelta. La memoria è lo strumento che poesia epica e storiografia hanno usato fin dal principio per andare contro il tempo, per contrastare la sua opera di corrosione. Lo scorrere del tempo, le trasformazioni che esso implica (il “divenire” dei filosofi), fanno in modo che le cose nascano e tramontino, per sempre. La straziante consapevolezza che tutto ciò implica è per l’Uomo fonte di angoscia e di forza. Non essere indispensabile ma voler vivere, e la ricerca del senso diventa così menzogna o del tutto inutile, a seconda delle prese di posizioni che si tendono a occupare.
Settantamila anni dopo le prime manifestazioni del ricordare, i riti funebri europei del Neanderthal, ingiustamente discriminato per il suo aspetto, capace in realtà di complessi comportamenti simbolici, guardando negli occhi “la catastrophe irrémédiable” ­ – come l’ha definita il filosofo francese Edgar Morin – abbiamo elaborato un nuovo sistema fondato sulla memoria: la narrazione, prima nella forma dell’esametro epico, poi in quella della prosa.
La storia non è quindi un insieme di date e di fatti da memorizzare, non solo quello, almeno, ma è il frutto di un’esigenza profonda, tanto nel tempo quanto nella dimensione umana. Spesso diciamo (e ne siamo convinti) che Dio è morto, che nulla ha più senso, eppure ci ritroviamo sempre qui, alla ricerca di quel senso o di tutto ciò che ne provi l’assenza, secondo la sensibilità di ciascuno. Forse venire al mondo, venire dal nulla, è un atto del tutto casuale e privo di significato, ma una volta qui non ci resta altro da fare che ricercare, “historìai”, appunto.