La fanciulla del quadro perduto

(di Nadia Kasa)

Camminando per le sale della mostra Dentro Caravaggio – esposta a Palazzo Reale e ormai a Milano per ancora tre giorni – pare manifestarsi la mancanza di un dipinto, forse poco noto, ma di grande valore.
Un ritratto di donna, databile intorno al 1597, esposto prima al Kaiser Friedrich Museum di Berlino e poi andato distrutto con i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Il dipinto rappresentava Filide Melandroni, una modella che si presume Caravaggio abbia fatto posare anche per altri dipinti come Santa Caterina d’Alessandria e Giuditta e Oloferne. La ragazza, proveniva da una famiglia benestante di Siena, e secondo i documenti storici, fu battezzata nel 1582, aveva quindi dieci anni in meno rispetto a Caravaggio. Quando giunse a Roma, all’età di tredici anni, per non si sa quale ragione – forse avvicinata da prostitute già note in città – iniziò a fare la prostituta. Presto, entrò a far parte del racket della prostituzione gestito dalla famiglia Tomassoni e da quel famoso Ranuccio Tomassoni, acerrimo nemico di Caravaggio.

Con il tempo, la condizione sociale della donna migliorò, fino a quando riuscì ad abbandonare il mestiere per dedicarsi a opere di carità. Filide, si innamorò di un uomo aristocratico, Giulio Strozzi, divenendo la sua amante. Quelli dal 1604 al 1618 furono gli anni di un amore passionale e turbolento, impossibilitato dalla famiglia di lui che non permise l’unione tra i giovani, a causa del passato scandaloso di Filide.
La famiglia Strozzi chiese addirittura l’intervento di Papa Paolo V e la giovane venne allontana da Roma. Insieme ai suoi bagagli, vi era un quadro, un ritratto che Filide aveva chiesto al suo amico, Caravaggio. L’artista l’aveva ritrattata su uno sfondo scuro – come era solito fare – a mezzo busto, con i capelli raccolti, bruni, gli orecchini di perle a grappolo e un fiore tenuto tra le dita, un bergamotto, spesso legato alle prostitute. Nel 1618, Filide, si tolse la vita, scelse di non vivere senza quell’amore che l’aveva fatta sentire viva e nel suo testamento scrisse che il ritratto, dipinto anni prima dal suo amico artista, fosse donato all’uomo che non aveva potuto sposare, Giulio Strozzi.

Quella fanciulla nata da una famiglia per bene e finita inconsapevolmente nel giro della prostituzione, a cui l’amore era stato negato da tutti, alla fine, decise di togliersi la vita, testimoniando con la sua morte quanto il giudizio possa ferire più di una lama acuminata.
Camminando per le sale della mostra, pare manifestarsi sulle pareti la presenza di un dipinto, il volto di una donna che tiene un bergamotto nella mano destra, come a voler offrire la sua anima a chi incroci il suo sguardo.

Io l’ho vista.