Le tre del mattino

(di Francesca Ferrara)

Fare un regalo azzeccato dà sempre una grande soddisfazione. Ne dà una persino più grande, però, riappropriarci di quello stesso regalo perché, in realtà, era piaciuto anche a noi.

Le tre del mattino di Gianrico Carofiglio (Einaudi, 2017) l’avevo impacchettato in una elegante carta di Natale, scrivendo “per mamma” sul bigliettino. Poi ai primi di gennaio ho indossato la mia migliore faccia tosta e: “Senti, visto che non l’hai ancora iniziato, va bene se lo leggo per prima? E poi ti ho regalato anche quello nuovo di Isabel Allende, puoi cominciare da quello, no?”.

Di Carofiglio non avevo mai letto nulla. Mia madre ha una predilezione per i suoi titoli, me lo aveva raccomandato più volte, ma io sono testarda: cedo alle sperimentazioni solo quando sono io a deciderlo.

Ironia kharmica, a posteriori ho scoperto che quest’ultimo romanzo esula totalmente dal genere in cui Gianrico di solito si muove, ossia i gialli giudiziari. Le tre del mattino è imperniato su una struttura molto più semplice: di fatto, è un’unica lunga conversazione, di due giorni e due notti, tra un padre e un figlio.

Un dialogo intergenerazionale fra un adolescente e un genitore, entrambi maschi, con un rapporto disfunzionale. Già da questa premessa, mentre esaminavo la copertina, mi aveva conquistata: avrei dovuto leggerlo. A breve. (Perdoname, madre.)

In parte per la scrittura di Carofiglio, in parte e soprattutto per l’impostazione lineare del libro, la lettura scivola pagina dopo pagina. È una chiacchierata, in principio difficoltosa ma poi sempre più sciolta. Perché la situazione è surreale, i due sono costretti per disposizioni mediche a restare svegli per due intere giornate, in una città straniera dove non conoscono nessuno. Qualsiasi attrito possa stridere fra loro, le circostanze lo ammorbidiscono, lo ridimensionano in un lieve imbarazzo e infine lo disciolgono.

Parlano di tutto ciò di cui un ragazzo di diciotto anni e un uomo di cinquanta potrebbero parlare, con la libertà data proprio dal fatto di non avere avuto un rapporto padre-figlio per un decennio. Io, che all’anagrafe sono ormai prossima ai trenta e che sono precocemente vecchia nello spirito, ho potuto ritrovarmi nei timori e nelle incertezze del primo tanto quanto nella disillusione e nell’amarezza del secondo.

– Com’eri alla mia età?
[…]
– Mi piacevano la musica e la matematica. Sognavo di diventare un pianista jazz e un grande matematico. Su due aspirazioni, diciamo che me ne è riuscita mezza.
– Cosa vuoi dire?
– Non sono diventato un pianista jazz e sono diventato al massimo un buon matematico. Fantasticavo di passare alla storia per aver dimostrato il teorema di Fermat, non ci sono riuscito e certo nessuno si ricorderà delle mie modeste intuizioni.

Così succede che sfogli un capitolo dopo l’altro, perché non riesci a stancarti di essere spettatore partecipante di questa conversazione formativa; e al contempo ti crucci perché la fine del libro si avvicina e non sei pronto per la separazione.

– Qualche volta ho riflettuto su come deve essere suicidarsi.
– Anche a me è capitato. […] Ai tempi del liceo. Poi una sera, verso la fine dell’università, mi è successo di parlarne con alcuni amici. […] Bevemmo parecchio, passammo alle confidenze e a un certo punto io confessai di aver pensato al suicidio. Credevo che i miei amici sarebbero rimasti sconvolti. E in un certo senso accadde, ma non per il motivo che immaginavo io. Era capitato a tutti e ognuno di noi, invece, era convinto fosse un’esperienza rarissima ed esclusiva.

Verità ben circoscritte, che non sempre vengono approfondite o sviscerate. Perché i due non hanno un dialogo da troppo tempo, hanno molto da recuperare, e ciò che conta ora è placare i morsi della fame. Per saziarsi ci saranno altre occasioni, in futuro.

Lo ammetto, alcuni sviluppi sono prevedibili, ma questo non è un libro concepito per stupire. È un libro che prende i nostri dubbi, i nostri rituali, le nostre peculiarità e tutti quegli intimi dettagli che, a nostro avviso, ci rendono unici, nel bene e nel male, e li svela nella loro ordinarietà.  Facendoci scoprire analogie là dove mai avremmo sospettato.