(di Francesca Ferrara)
Non conoscevo gli eventi dell’Isolotto di Firenze. Ero altrettanto estranea all’esperienza delle comunità cristiane di base (CdB) e al processo contro alcuni dei suoi membri, tenutosi nel 1971. Anche allo sguardo di una profana, tuttavia, “Le donne e il prete” di Casimira Furlani (detta Mira) si presenta chiaramente come un documento di testimonianza storica. È scritto ad una sola voce e questo è tutt’altro che una carenza: perché la voce di Mira, unica donna al centro degli episodi, è quella rimasta a lungo taciuta. Troppo a lungo.
Qui tuttavia non intendo soffermarmi sul valore storico di questo contributo. Altri lo hanno già fatto (è di prossima pubblicazione sulla rivista “Testimonianze” un articolo di Luisa Muraro) e certamente con maggiore competenza di quanta potrei offrirne io. Come ho anticipato, ero ignara degli episodi riportati ne “Le donne e il prete” e perciò il mio approccio alla vicenda di Mira è stato soprattutto sul piano umano.
Questo libro incapsula l’esperienza di vita di una donna che ha sempre lottato per reclamare la sua identità, la sua presenza consapevole. L’impegno sociale comincia partecipando alle riunioni della comunità, iscrivendosi alla CGIL, redigendo, insieme ad altri, nuovi manuali di catechismo, per poi approdare alla gestione di una casa-famiglia. È proprio puntando la luce su queste ultime, realtà rimaste nell’ombra per decenni, che il tono del racconto cambia. La scrittura non ha più una forma prossima a quella giornalistica, di fatti riportati: leggendo delle case-famiglia ho potuto finalmente toccare l’autrice, sentirmi accompagnata all’interno dei suoi ricordi e avvicinarmi a lei da persona a persona. Per lei quell’attività significava moltissimo e proprio per questo le barriere calate ad arginare la sua intraprendenza la feriranno più nel profondo.
Come abbiamo detto, infatti, un’ascesa rapida, una conquista dopo l’altra. Non tutte le persone intorno a lei, però, sono disposte a riconoscere e rispettare la sua crescente autorevolezza. Tra queste, Don Enzo Mazzi, personaggio amatissimo e al quale era sopravvissuto un ritratto a tinte positive, fino ad ora. Fino a quando Mira non ha avvertito il bisogno di imprimere su carta l’ampia nebulosa del non-detto.
Il rapporto fra i due, iniziato come una fruttuosa collaborazione, si deteriora progressivamente. Riversando corpo e mente nella casa-famiglia, Mira vive sulla propria pelle l’impossibile conciliazione tra gli impegni domestici e quelli lavorativi. Così suggerisce al parroco e al vice-parroco di accennarvi nella successiva predicazione domenicale, dedicata alle difficoltà della classe operaia. “Volevo parlare insieme a loro della condizione della donna che deve lavorare dentro e fuori casa. Bussai e chiesi gentilmente di partecipare alla loro ricerca con un mio contributo. Don Enzo si alzò d’impeto e in modo alterato, perfino nella voce, mi appioppò due sberle sul viso pronunciando le parole seguenti: ‘Non disturbarci, tu pensa a fare la mamma che alla predicazione ci pensiamo noi’” (pag. 21).
Questa è soltanto una delle occasioni in cui Mira vede la propria intelligenza, le proprie capacità, sbattere contro il muro dell’indifferenza maschile. Le stesse qualità che in principio l’avevano resa una preziosa aiutante, adesso osano troppo, vogliono spiccare un volo che esula dal suo ruolo. “Confesso che sì, ho sofferto a lungo e molto per quei fatti, ma grazie alla consapevolezza di me nel frattempo acquisita col femminismo della differenza, ho potuto rendermi conto che tale sofferenza e fatica è stata la stessa patita da tante altre donne che in passato hanno dovuto lottare per la propria libertà” (pag. 27).
Elemento religioso e femminismo della differenza, quindi. Nel percorso di Mira essi si intrecciano, si alimentano l’un l’altro, entrambi apporti imprescindibili nella ricerca della sua identità. Così il Cristianesimo di base, di “coloro che sono dalla parte del Vangelo dei poveri e [non di] coloro che servono due padroni, Dio e il denaro” (p. 28), va incontro ad un’ulteriore revisione critica, che rispetti la dignità e l’identità delle donne. Così nascono i gruppi-donne all’interno delle CdB.
Mira Furlani ha avuto una vita tanto intensa e ricca che non può lasciare impassibili. Leggendo, ad un tratto ho realizzato la disparità fra di noi. Aveva pochi più anni di me quando è andata in Sicilia a portare soccorso per il terremoto nella Valle del Belice. Alle sue spalle, già anni di impegno negli ambienti che ho elencato sopra. Viene spontaneo fare paragoni con se stessi e domandarsi quanto abbiamo creato e concretizzato fino ad oggi. Quanto abbiamo contribuito a mettere in discussione la realtà che abbiamo ereditato? Quanto siamo intervenuti, intervenute, per migliorarla?