Questa notte è la mia. Alberto Damilano.

Andrea è un giornalista; cronaca, redazione indolente, paga non eccezionale.
La moglie Marta con cui parla poco. L’amica d’infanzia Giulia, cupa e scontrosa. L’amico psichiatra Massimo, cupo e scontroso. Francesco, giovane e intraprendente collega. Francesco scopre legami d’alto livello fra ‘ndrangheta, affari e politica, ficcandosi in paraggi pericolosi.

Francesco viene ridotto in fin di vita. Andrea afferra il testimone e riesce a portare avanti il tutto.
È uno che lotta, Andrea.

In una delle pagine più inquietanti, Andrea ritorna a un vecchio ricordo: si era perso in alta montagna, ce l’aveva fatta con molta fatica. Vicenda paradigmatica, la trama complessiva della sua vita… perdere i punti di riferimento e trovare altri sentieri.
Da qualche tempo deve dire a Marta una cosa importante, ma ce la fa solo molto dopo. Anche con i suoi amici cupi e scontrosi paiono talvolta mancare le parole giuste.

La cosa importante da dire è che Andrea perde via via familiarità con se stesso, perché è ammalato di Sla. Non si rende conto ancora del tutto di cosa significhi, lo scopre da quel poco che ogni giorno non gli è più permesso fare. Un piede che appoggia male. La forza di una mano che non è più quella dell’altra. La difficoltà in azioni banali, come tenere la penna o allacciarsi un bottone.
Con tanta imprevedibilità: se il dito mignolo non si muove più in armonia con gli altri, Andrea si aspetta che il prossimo a cedere sia il dito vicino, e invece è un orecchio a sentirci meno. Qualcosa che agisce senza direzione, lo spiazza, gli impedisce di conoscere il prossimo passo, suo di suo e suo della malattia.

Il calo progressivo di confidenza con il proprio corpo pare però condurre Andrea a uscire da un atteggiamento – fin troppo prudente – tenuto verso l’esistenza fin a quel momento. La mia vigliaccheria è stata la mia assicurazione sulla vita, commenta in un passaggio significativo. La sua determinazione nell’inchiesta, anche dopo che gli hanno distrutto la casa, si fa poderosa.
Andrea si muove con un bastone, poi in carrozzella. Gli appare il versante sconosciuto che il morbo – oltre che nelle sue fibre – gli costruisce attorno: passivo oggetto di pietà, sguardi e saluti sfuggenti, recriminazione, attesa. Un barbone reduce dalla guerra in Jugoslavia lo incita a ritrovare una vecchia amica reclusa in un lager psichiatrico (altro fronte di inchiesta, per Andrea), ma soprattutto a prendere la vita in mano, comunque essa si stia mettendo.
Torna a parlare a sua moglie, che non era stata la prima persona a sapere della sua malattia. Conosce meglio i suoi amici. In redazione è un altro. Organizza il concerto di un amico disabile, grazie al web. Ne dice quattro a un’associazione benefica perché, di fatto, impedisce paradossalmente ai disabili di darsi da fare per se stessi.
Fino a quando respirare, bere, deglutire, dormire non sono più respirare, bere, deglutire, dormire.

Parte piano, questo libro, e le prime pagine non offrono molti appigli.
Ma l’azione dei giornalisti Andrea e Francesco diventa presto livida, decisa, elettrica… la minaccia della violenza criminale o dello scippo dell’inchiesta verso mani più discrete è in agguato a ogni pagina.
Le frequenti escursioni nei sogni, nei ricordi, nelle percezioni trasfigurate (il racconto della Tac da imprigionato in una miniera è breve ma impressionante) conservano un’atmosfera da thriller sottile, lontana da estetica descrittiva od olimpica meditazione.
I colloqui con la moglie, i colleghi alleati e quelli nemici, gli amici di lunga data si snodano tranquilli solo in apparenza: emerge sempre l’impazienza di centrare il problema, le cose che non ci siamo mai detti, l’aiuto che posso darti e che tu rifiuti, le opportunità che mi aspetto tu acchiappi. Una narrazione che è lava incandescente sotto la crosta. Dialoghi minimali, ma di grande forza nel ritmo e nei significati.
Urgenza.
Tempo.
Sensibilità.
Il mondo delle parole e dei sentimenti intorno a te.
Il corpo.
Confidenza.
Non una parola da sprecare.
Tutte idee, sensazioni, concetti, esperienze che la tonica scrittura di Alberto Damilano – che con Andrea ha in comune il percorso della malattia, il sentiero perso in montagna – ci riconsegna ben diverse da quanto pensiamo di conoscerle nel nostro sapere medio. Una scrittura intensa e ricca, capace di unire monologo interiore, dialogo e relazione, piccole percezioni, progetto, azione e decisioni, rabbia, valori, angoscia in un flusso originale e concreto.
Un racconto raro, che toglie di mezzo subito la superficiale e odierna epica del dolore, avvicina persone vere e ci accompagna nel conoscerle da molto vicino, ci spalanca il quotidiano con occhi nuovi perché c’è tanto ancora da guardare.
Un libro bello da leggere.
O semplicemente da iniziare a leggere, perché poi è impossibile staccarsene.
Dal libro.
Da Andrea.
E da Alberto… solo da ringraziare per avercelo scritto.

Alberto Damilano, “Questa notte è la mia”, Longanesi, 2013

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