Potere e Casa Bianca, il capolinea della narrazione televisiva

Nonostante ci si ritenga tutti persone razionali che sanno il fatto loro e che non sono nate ieri, i modi in cui ci facciamo un’idea della politica possono essere incredibili.
Uno di questi – piacevole, intrigante, soprattutto subliminale – è la narrazione televisiva.
Magari la narrazione statunitense.
Magari che si diventi come loro senza neanche accorgersene.

Nel marzo 1999 esce là e poi arriva qua “West wing”, ambientata alla Casa Bianca e che segue il lavoro quotidiano dello staff presidenziale, con rogne e intrighi piccoli e grandi tipici di quel posto. Creata da Aron Sorkin, tra l’altro autore e sceneggiatore di “The social network”, il film sulla Bbs di Zuckerberg; e dell’interessante serie “The newsroom”.
L’ottobre 2011 ci si sposta nel municipio di Chicago, dove un sindaco volgare e mafioso ne fa di cotte e di crude (permessi a rifiuti tossici che provocano tumori nei quartieri poveri, interessi illeciti nella costruzione del nuovo aeroporto, manipolazione delle elezioni, assassinî), ma con la botta di vita di una malattia neurologica terribile che gli mina la zucca. Per cui non sappiamo se le sue azioni malvagie dipendano dai neuroni o se è farabutto di suo. Ideata da Farhad Safinia (autore del film “Apocalypto”) e girato meravigliosamente da Gus Van Sant e Mario Van Peebles.
Si torna a Washington nell’aprile 2012, dove le nefandezze pubbliche e private della Casa Bianca e i suoi legami ricattatori con un certo sottobosco legal-economico sono raccontate in “Scandal”. L’autrice è Shonda Rimes, madre di “Grey’s anatomy”, in questo caso senza l’umorismo e la leggerezza degli arrapati medici di Seattle.
Infine, nel febbraio 2013, esce il tronfio e palloso “House of cards”, sempre su quanto la Casa Bianca sia una cloaca politica e morale. Per sfondare rispetto ai predecessori abbondano bassezze, cattiveria e crudeltà pure, cinismo, arrivismo, delazione e ricatto. Non per nulla l’autore originale è Michael Dobbs, stretto collaboratore di Margaret “The Witch” Thatcher.

Vero che a volte la realtà ci racconta di peggio.
Ma corrisponde davvero al vero tutto ciò?
Tutti quelli lì dentro hanno una o ventuno amanti.
Molti di quelli lì dentro non hanno figli.
Quasi tutti quelli lì dentro, se parlano con la moglie (a volte con il marito), è solo per dirsi che hanno scoperto il tradimento.
Tutti quelli lì dentro ricevono continue telefonate di notte.
Tutti quelli lì dentro dispongono di aggeggini per spiare tutti quelli lì dentro.
Al di fuori di tutti quelli lì dentro, la società delle persone normali non esiste; e se esiste perde, non vale la pena fare nulla.
Nessuno di quelli lì dentro ha amici tra tutti quelli lì dentro.
Molti di quelli lì dentro hanno rapporti con brutti ceffi o avanzi di galera, a volte servono.
Il presidente o il capo di tutti quelli lì dentro mette sempre i piedi sulla scrivania.

Nonostante siano film fatti – quasi sempre – molto bene, il messaggio che arriva è che la politica è un affare per soli gangster. Già siamo scocciati della politica di qui e dobbiamo avere anche la sfiducia d’importazione…
È davvero questa la politica?
Opino.
Non è minimamente una questione di morale, di pensare bene o di pensare male, di essere realisti o idealisti. Ma che la visione della politica come ci arriva da costoro è monodimensionale, limitata, circoscritta ad alcuni comportamenti e situazioni, incapace di pensare in prospettiva e di mediare la complessità del reale. Ci figurano spesso il potere come criminale. Ma non affrontano mai “l’altra” realtà, quella vera: come la mettiamo quando il potere è legale, ma ha interessi differenti dai nostri?
Un esempio ben diverso è la serie danese “Borgen”.
Qui la politica è fatta di persone normali con vite e famiglie normali e normali mal di stomaco, gli interessi economici sono delineati in modo concreto, come concreta ne è la strategia di mediazione, la società quotidiana vi è presente con la sua forza, i politici sono politici – con tutto il loro corredo di colpi bassi, ci mancherebbe – e non mafiosi, le situazioni sono in divenire.
Lo sguardo danese è molto più largo ed efficace rispetto ai limitati sceneggiatori statunitensi.
Poi, naturalmente, uno guarda quel che gli pare.
Ma noi – persone razionali, che sanno il fatto loro, che non sono nati ieri e magari hanno fatto il militare a Cuneo – sappiamo cosa c‘è sotto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *