“Ensaio sobre a cegueira” esce in Portogallo nel 1995, e si afferma subito come uno dei libri più intensi e sconvolgenti del maestro di Azinhaga. Come spesso nelle sue storie, il punto di partenza è una situazione surreale, senza spiegazione od origine, che piomba nella vita privata e pubblica e le scalza entrambe.
Un uomo diventa cieco a un semaforo. Un cieco strano, perché non precipita nel buio ma in un bianco latteo uniforme. Comunque non vede niente.
Diventa cieco un ladro che lo soccorre e lo deruba.
Un oculista. Dei ragazzi.
I ciechi sono sempre di più; il governo pensa a un’epidemia e isola via via gli ammalati, confinandoli in un ex manicomio. All’inizio sono assistiti, sia pure sotto controllo militare. Poi l’assistenza diventa impossibile perché praticamente tutta la popolazione vede solo latteo. Tutti tranne una persona: la moglie dell’oculista, che si era finta cieca per restare accanto al suo uomo. La situazione si fa sempre più drammatica, nelle città e soprattutto dentro l’ex manicomio…
Le famose ricchezza e concretezza di linguaggio di Saramago raggiungono qui delle frontiere di parossismo, suspence, attesa elettrica forse senza pari in altri suoi libri. Da un certo punto in poi, voltare pagina vuol dire temere di trovarsi descritto il terrore che abbiamo preconizzato la pagina prima. I personaggi che seguiamo più da vicino sono quelli più esposti – oltre che per la cecità – anche per come sono: ragazze giovanissime, adolescenti, vecchi, ammalati… e nessuno dal di fuori che può aiutarli.
“Cecità” è un viaggio dantesco senza Virgilio nelle società di oggi, organizzate al centimetro eppure sonnacchiose e distratte su se stesse e di quanto sta per accadere al loro interno. E’ l’invito a pensare a quanto sia flebile l’orlo fra la civiltà e la barbarie se non si lavora a mantenerlo stabile. E’ il terribile pensiero che allontaniamo ogni giorno, quello della prossimità della catastrofe causata dall’indifferenza, lo sguardo vuoto verso i nostri simili, l’idea che speriamo sottintesa per sempre che sia lo Stato a tenere in piedi le cose.
Lo sviluppo della trama ci mostra invece che per uscire dalla cecità è necessario evitarla fin dall’inizio. Il cammino febbricitante – compiuto letteralmente un passo dopo l’altro, appoggiati ai muri e agli altri ciechi – è un attraversamento della fine del mondo verso direzioni che nessuno dei protagonisti poteva prevedere. Cecità come barriera e oltre: la possibilità di volersi bene qui e ora, privi della mediazione di un’immagine di sé o di un futuro. L’infinita pregnanza del presente e dell’istante.
Una trama e un ritmo degli eventi che tiene tenacemente legati alla lettura. Un’esperienza che speriamo non ci capiti mai per davvero. Un libro cha lascia da pensare molto a lungo.