Opera prima del Premio Nobel turco Orhan Pamuk, scritta verso la fine degli anni ’70 del ‘900 e uscita nel 1982, a immagine della stessa famiglia dell’autore.
Istanbul, primi decenni del ‘900. Il commerciante musulmano Cevdet apre un negozio che via via diventa sempre più grande, si allarga all’import-export, gli permette il matrimonio con la figlia di un pascià e l’acquisto di una grande casa nel facoltoso quartiere di Nisantasi.
Già visto, succede, buon per lui.
In realtà Cevdet è un innovatore e un uomo coraggioso, perché all’epoca in Turchia era considerato disonorevole per un musulmano occuparsi di commercio. Cevdet è paziente, strategico, gentile anche semplicemente per animo ma non ingenuo, ben determinato a innalzare il suo livello sociale, genericamente conservatore nelle opinioni sul mondo quanto progressivo nel suo lavoro e nella sua prospettiva.
Caratteristiche di un individuo, ma che in quegli anni si potevano riscontrare nella Turchia stessa. Il vecchio sistema paternalistico, di tradizione ottomana, che governava il Paese mostra da tempi i suoi limiti e la sua incapacità ad affrontare il nuovo secolo. La società – attraverso i figli delle famiglie più in vista mandati a studiare in Europa – si confronta con modelli di democrazia e di benessere che a Istanbul, Ankara, Adana nessuno conosce. Professionisti, commercianti, militari, attivisti, intellettuali premono perché le cose cambino, anche in modo estremo… come Nusret, medico e fratello di Cevdet, lucido quanto velleitario.
Nel 1923, la rivoluzione di Atatürk e dei Giovani Turchi spazza via il vecchio regime, la Turchia attua una serie di riforme e ne rimanda altre; Cevdet ha ormai raggiunto una solida posizione e il testimone inizia a passare ai suoi figli, Refik e Osman. Il racconto li segue con attenzione, nei loro giorni fin nei loro minuti più significativi, affidando a ciascuno un punto di vista differente sulla stessa Turchia: Osman, freddo e concreto quanto amorale e tecnocratico, ha distillato dal padre le sole capacità imprenditoriali senza apprenderne le doti umane; Refik ne assume invece la prospettiva di liberazione personale, di senso alto da dare alla propria vita, perdendosi però in progetti che non escono dalla pura anche se altisonante dichiarazione. Al di là di loro, le altre riforme che la Turchia ancora attende, le inquietudini di chi vorrebbe ancora di più, un persistente senso di inferiorità verso l’Europa.
E si arriva alla generazione successiva, verso il 1970, con il pittore Ahmet figlio di Refik. Eredita dal padre molto del suo anticonformismo, vuole capire a fondo ciò che la sua famiglia gli ha consegnato. Una Turchia ancora diversa, con concrete possibilità di colpo di Stato militare, le difficoltà di riuscita personale, le arretratezze che convivono con i modelli esistenziali e sociali europei… ancora…
Il viaggio affascinante attraverso un Paese che conosciamo ancora poco. Ma anche attraverso storie che riguardano il significato da dare alla propria vita, il contributo verso la società dove vivi, ciò che la famiglia e il passato ti consegnano e ciò che tu senti di accettare; i legami profondi del sangue, quelli di un luogo come la vecchia casa di Nisantasi, quelli del denaro e del commercio.
Una lingua e uno stile scorrevoli quanto attenti e affascinanti, in grado di riflettere sulla storia senza tralasciare un gruppo di persone molto concreto, un quartiere, sogni e conflitti. L’epopea di un Paese, la saga di una famiglia, i tratti conosciuti e universali di persone come potremmo essere in tanti. Una narrazione che ti accompagna a lungo e che quasi vorresti avere vissuto di persona. Semplicemente bellissimo.
Orhan Pamuk, “Il signor Cevdet e i suoi figli”, Einaudi 2011.
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