Gioele è un ragazzo fra adolescenza e giovinezza; vive in un ospedale psichiatrico.
L’equilibrio ufficiale della sua mente si basa sulle pastiglie, sui colloqui con gli psicologi, sulle sue giornate delimitate dalle mura e dalle ore. Il suo vero equilibrio è dato dal silenzio che lui stesso vi frappone, dalla lettura attenta – talvolta divertita, spesso guardinga – delle sensazioni che vive nello spazio di pochi istanti, dagli oggetti contenuti nelle mura e dalle ore, dal cibo, dalla doccia, dalla testa che anche oggi non gli è caduta, da tante altre emozioni rattrappite e da percezioni che diventano colori. Il suo linguaggio interiore: sapori, suoni, odori, corridoi e cunicoli ignoti, persone della televisione. Tutto in ordine finché lui li traduce in un colore.
Il più bello è quello del tuorlo d’uovo, parente stretto del sole, ciò che è più importante.
Maria è anziana – parecchio – e vive sola.
È arrivata alla sua età attraversando i decenni, la povertà, la guerra e il fucile, il quotidiano di una famiglia contadina all’antica, logora di fango e di lavoro umido, di lavoro duro dal momento in cui la bimba si regge in piedi; la cena in pietroso silenzio sotto la luce fioca della cascina d’inverno; il silenzio dell’affetto privo di carezze, di abbracci, di progetti per il futuro; il silenzio ansimante dell’abbraccio violento dello zio Cesco.
Il suo linguaggio interiore è la storia, la sua, che si è fatta strada con fatica nel tempo.
Un giorno Gioele si scoccia delle ore e delle mura, trova un’auto in cortile con le chiavi inserite, mette in moto e se ne va. Una macchina gialla, che viaggio, che colore!
Nello stesso giorno, Maria gira piano la sua pianura, in bicicletta.
A momenti, a un incrocio, il giallo di Gioele la stira.
Restano vivi entrambi, e non solo perché a quell’incrocio nessuno di loro due si è fatto male, ma perché il silenzio dentro di loro finisce. Restano vivi e diventano vivi.
Ogni sguardo, ogni suono esterno, ogni forchetta, ogni marcia cambiata, ogni tuorlo spentosi dietro le nuvole diventa occasione per costruire un ponte e un’intesa. Un affetto che si basa sulle sensazioni più che sui discorsi; ci sono via via più parole orfane, che colorano il passato. La possibilità stessa di essere ascoltati, senza perdere nulla del mondo stralunato che Gioele e Maria si portano dentro.
Solo loro?
Elena Mearini ha scritto un bellissimo libro di possibilità, di affetto per le sensazioni primigenie e scrostate dal vivere medio, di lotta curiosa e tenace della parola sul silenzio.
Con uno stile poetico, unico, inedito, originale.
Guardiamo il nostro tuorlo.
Rubiamo la nostra macchina gialla.
Leggiamo questo libro.