Da una parte c’è chi scrive romanzi, racconti, poesie e vorrebbe accedere alla pubblicazione, farsi conoscere, soprattutto essere riconosciuto come scrittore.
Da quell’altra c’è chi fa libri e li vende, è già riconosciuto come editore, deve scegliere testi scritti bene e che possano avere successo, se no chiude.
Mi trovo e vivo entrambe le situazioni.
Sono un editore. Un microeditore, spero per poco, perché è meglio essere un grosso e ricco editore che un piccolo e faticosamente eroico editore. Meglio per tutti. Agli editori viene spesso rimproverato di vendere sciocchezze pur di vendere, di non dare possibilità ai giovani autori, di non sapere sempre riconoscere i veri talenti.
Sono un autore. Non particolarmente prolifico, con alcuni testi pubblicati – e pagati in anticipo, che bello! – in quanto scritti su commissione. Con altri testi proposti nel tempo a vari editori, mai arrivati a pubblicazione. E con altri progetti di testi che sto finalmente sviluppando in tutta tranquillità.
Bella forza, fai l’editore, ti pubblichi i tuoi testi e sei a posto. Mica come noi che scriviamo nelle sere buie dopo il lavoro, ci mettiamo tempo e fatica, mandiamo le nostre opere a tutti gli editori e non ci fila nessuno. I più gentili ci rispondono con lettere fotocopiate… non è il momento… non rientra nelle nostre politiche editoriali… grazie per averci scelto, ma…
Il discorso è chiaro: il “sistema editoriale” ignora colpevolmente i nuovi autori.
Domanda brutale: perché mai ti, vi, ci dovrebbero pubblicare?
Chi vi leggerebbe?
Dal 1989 lavoro a vario titolo nel “sistema editoriale” e mi è capitato di leggere centinaia di testi di aspiranti autori. Nel tempo, la qualità di scrittura si è sicuramente elevata, persone che scrivono bene ce n’è, ormai è raro leggere cose sgrammaticate o noiose come accadeva una volta. Ma molti testi somigliano troppo a qualcun altro, e questo è un problema serio. Capiamoci bene: non sto parlando di plagi o di deliberato adeguarsi allo stile di un autore famoso, ma di inconscio assorbimento di quei canoni stilistici e narrativi che più ci somigliano. È ovvio che succeda, la nostre letture ci influenzano, e più sono di buon livello e meglio è. Ma è necessario un secondo passo, che pochissimi fanno: conoscere a fondo il proprio stile, essere critico e consapevole di pregi e difetti e soprattutto stereotipie, sviluppare una propria unica e individuabile originalità.
Pochi lo fanno, in pochi lo facciamo. E un editore non ci tiene più di tanto a pubblicare uno che “somiglia a Carver, a Borges, a Calvino, alla Santacroce”. Ci sono già gli originali.
Come autore o aspirante tale, questa cosa mi rende molto severo con me stesso. Da tempo non ho l’ansia di pubblicare qualcosa, ma sicuramente quella di trovare la mia originalità, giorno dopo giorno, pagina scritta dopo pagina scritta. Non è solo questione di stile, ma di temi, di valori, di personaggi, di storie, di cose che si vogliono dire. Se non un fisico, ci vuole una pazienza bestiale, perché è difficile… ma inevitabile.
Oggi c’è la possibilità di pubblicarsi da soli, non costa più tanto, piattaforme e siti appositi danno questa via d’uscita rispetto alla frustrazione di essere rifiutati. Alcuni, con un intelligente sforzo di promozione su web, riescono anche a farci su un bel po’ di soldi. Uno statunitense vende gialli su Amazon a un dollaro a e-book: ne ha incassati 350.000 in cinque mesi. Probabilmente anche noi piccoli editori abbiamo da imparare, da queste nuove esperienze.
Resto però di un’idea – forse da vecchia scuola – che farsi accettare o no da un editore reale sia un passaggio altamente educativo, perché attraverso il confronto con un altro (uno che vede i libri da un punto di vista comunque ottimo, anche se differente da quello di un autore) ti puoi rendere conto del tuo valore, di dove sei arrivato, di quanto ancora puoi migliorare.
Certo, anche i grandi editori prendono cantonate. Figuriamoci noi piccoli. Ma un aspirante autore che si crede un grande autore è una cantonata almeno pari.
Ne riparleremo…