Tredici storie di Adriatico

L-Tredici storie adriatico

Pagine: 220
Prezzo di copertina:
14,00 euro
Collana: Narrative
Formato: brossura
Dimensioni: A5 (15×21)
ISBN: 978-88-98914-06-7

Racconti di pianura, che guarda verso il suo mare per non arrivarci, fermarsene cento metri indietro. Dietro le cabine, le dune, la piada. Dove le cose succedono davvero. Di sera tardi o di mattina presto. Vicende che vengono dalla campagna – uguale adesso a decenni prima – con gelosia, animali da cortile, moto, pallettoni, etichette scritte a mano sulle bottiglie. Romagna, inconscio del mar Adriatico.
Romagna, albe di nebbia, cronaca nera. La Bassa che crea un’atmosfera.

Soprattutto storie di donne di lì o che arrivano lì. Lavoro duro – qualsiasi lavoro – e occhi aperti. Prendono decisioni all’improvviso e se la cavano.
Ma non sempre.

Le storie si svolgono tutte lungo la costa romagnola del mar Adriatico, o pochi chilometri più indietro.
Vi convivono contesti del passato remoto, come la vita contadina e le sue strategie del ragno; quelli del passato prossimo, con ricchezze recenti e coeve solitudini; il presente con i divertimenti, strade notturne che finiscono in spiaggia ma iniziano dall’Europa dell’Est, voglie balorde, lavoro lavoro lavoro da mettere su a friggere ogni giorno.

Storie di Bassa.
Storie di nera.
Storie di donne nel posto sbagliato, che non possono permettersi crisi di nervi o che l’orlo della gonna rimanga impigliato. Che vanno a dirgliele quattro. Aggrappate a quattro dita.

Che a volte finisce bene. Ma anche no.

Booktrailer

Estratto

da LA CAPRA (Misano Adriatico)

31 dicembre 1975.
Le  sagome indistinte e imbacuccate delle tre cugine si addentrarono nella nebbia densa come il latte che avvolgeva la piazzetta, per fermarsi al solito posto tra l’edicola e  la statua equestre.
«E porca d’una bocchinara rottinculo, figlia di peripatetica e imparentata con dei busoni!» urlò Mariagrazia, strattonando malamente la  bicicletta che le era appena caduta.
Le altre due si scambiarono un cenno d’intesa.
«La Grazia oggi è in buona!» sospirò Valentina, incuriosita da quel “peripatetica” che le sentiva per la prima volta.
«Grazia… per te non poteva esserci un nome meno indicato!» si indignò l’altra, Lucia, la più bassina delle tre, l’unica a essere sposata, che non mancava mai di redarguirla coi suoi  «Il turpiloquio è impigrente!».

Da lei, invece, in trentacinque anni non si era mai sentita una parola fuori posto, era sempre impeccabile e lessa come la  sua gonna scozzese a portafoglio con maglioncino in tinta e il suo caschetto rosso menopausa, scolpito in testa dall’unica vecchia parrucchiera del paese.
Anche Valentina mal sopportava la sguaiatezza di Grazia, ma se su un’isola deserta avesse dovuto scegliere per forza la compagnia di una delle due, l’avrebbe preferita di gran lunga a quella di Lucia. Grazia almeno ogni tanto era anche divertente.
«E allora? Cos’era sta fretta che hai messo per vederci?» affrettò insofferente Lucia, ignara del motivo della convocazione.
«E allora un cazzo!» sbuffò Grazia con le gote arrossate e il fiatone, lasciando perdere la bicicletta dopo aver rinunciato una volta per tutte a incastrarla col pedale contro il marciapiede.
«Mi ha telefonato Gigén. La nonna è in ospedale a Cesena per  degli accertamenti e la capra sta per partorire…»

Le due cugine non cambiarono espressione, rimanendo ostili a braccia conserte, nella postura di chi non ha nessuna intenzione di collaborare. Per cui a Grazia toccò scandire il messaggio ad alta voce «MORALE: STASERA DOBBIAMO ANDARE A CONTROLLARE SE LA BESTIA HA SGRAVATO E SICURAMENTE DOVREMO AVVISARE IL VETERINARIO!». E sventolando il post-it col numero del professionista concluse: «Perché io di capre NON NE SO UNA BEATA MINCHIA!».
«E ci hai fatto venire fin qui per questo? Vacci tu. Poi se dovesse esserci bisogno, ci dài un colpo di telefono e ti raggiungiamo. È l’ultimo dell’anno e io devo chiudere una gara in ufficio e preparare il cenone per Manrico…»  buttò fuori Lucia, prima di tornare a fissarsi le scarpe in attesa di un’aggressione.
«E io devo tornare in merceria! Lo sapete  che non posso chiudere il negozio così, alla carlona…» si accodò  Valentina.
«Dovreste vergognarvi! Solo perché sono disoccupata non potete continuare a sbolognarmi tutti i maroni di famiglia!»
«Hai ragione ma…» sospirò Valentina, allargando le braccia.
«In tàl cùl a chi à rasòn!»
«Se mi lasciassi finire… avrei aggiunto che stasera andiamo io e te. E domani, visto che è festa, ci torniamo tutte insieme e decidiamo il da farsi.»

Nel dirlo spintonò  Lucia, che annuì rassegnata.
«Certo, ci possiamo tornare domani, tutte insieme…»
«Ma io e te, stasera, non dovevamo andare all’Elefante bianco? Qui non è Capodanno solo per la Lucia e Manrico!»
«Infatti ci andremo, ma passeremo prima  dalla capra.» Valentina era sempre la più accomodante  delle tre.
«Cazzo, stai dicendo che dovremo infilarci in un ovile in abito da sera? Poi puzzeremo come letamai!»
«Non se faremo attenzione a non sporcarci.»

I dettagli tecnici cominciavano a segare le gambe della cugina saggia.
«Fanculo! – si ribellò Grazia – ci sarà da immerdarsi fino alle orecchie! Ma appena la vecchia ci resta secca lo vedete dove va a finire l’allegra fattoria coi suoi animali del cazzo! Io sono intenzionata a vendere, che sia chiaro a tutti!»
Lucia, disgustata, a quelle parole si calcò in testa il suo ridicolo basco d’angora rosa e fece dietro-front; per sparire nella nebbia del parcheggio senza nemmeno salutare.
«Domani ti aspetto a pranzo a casa mia! Ricordati la salama da sugooo!» gli urlò dietro Valentina.
Quando la sua auto sgommò via, Grazia si accese soddisfatta la prima sigaretta della giornata.
«Ma perché ti accanisci tanto? Lo sai che non sopporta le parolacce!»
«Lo so! E adoro mandarla in bestia. Ma se uno di questi giorni decidesse di  scendere  dal pero giuro che mi metto a parlare pulitino pure io!»

Sorrise serafica, aspirando voluttuosa una boccata al pensiero di un’improbabile versione di sé moderata e compunta.
«Pulitino tu! E giù dal pero lei? Ma figuriamoci! E dire che lo sai quanto è stata rigida la zia nel tirarla su, in fondo non è nemmeno tutta colpa sua… almeno io e te da bambine ce la siamo goduta.»  Valentina  nel dirlo si ricordò dei giochi estivi sull’aia e dei pompelmi  che la nonna le  propinava a merenda.
«Ah! Se è per quello io me la godo ancora adesso… e l’estate scorsa mi sono ripassata anche quel rimbambito di Manrico…»
«Stai scherzando? Parli di “quel” Manrico…?» Valentina non ci  voleva credere.
«Quanti pensi ce ne siano con quel nome del cazzo?»
«Tu sei pazza!» – gorgogliò incredula. E Grazia, riferendosi alle qualità del cugino acquisito, avvicinò il pollice all’indice strizzando gli occhi e rincarando la dose: «E segnava sempre le sei e mezza! Il pooovero Manrico…!».
«Le sei e mezza? Non ci posso credere, proprio Manrico, con tutte le arie che si da…»

Le tre cugine accomunate dallo stesso cognome, dall’età e da un infanzia trascorsa in collina dalla nonna, crescendo avevano preso strade diverse, perdendosi di vista per molto tempo; solo di recente avevano ripreso a frequentarsi per via della cattiva salute dell’anziana.
Prima di congedarsi Grazia fece una sosta in edicola per far rifornimento di settimanali, mentre  Valentina  si soffermò a leggere le locandine dei quotidiani.
Quella del “Resto del Carlino” titolava “Riccione: violentata, strangolata e abbandonata in  un fosso”.
«Hai visto? Ne è morta un’altra – disse Grazia, quando uscì – continuano a riempirci i  fossi…»
Grazia annuì, evitando di confessare che senza occhiali non vedeva un fico secco; oltretutto  cominciava a fare scuro e la nebbia  rendeva vaga anche l’edicola e le  locandine.
«L’ennesima tossica, sicuramente.»

Paola Rambaldi

Originaria di Argenta (FE), trasloca spesso e attualmente vive a Castello di Serravalle (BO).

Impiegata per quasi trent’anni in una multinazionale dell’informatica, è riuscita a rimanere digiuna sia di hardware che di software. E nonostante il quantitativo industriale di relazioni, offerte e contratti commerciali digitati ha costantemente concentrato il pensiero sulle proprie fantasie noir tardivamente riportate sulla carta.

Ha pubblicato “Bassa e nera” (ed. Pontevecchio), “La fudréra” (ed. REM) e tanti racconti in riviste e antologie (con Elliot, Pendragon, MobyDick, Sperling & Kupfer, Laurum, Zona, Felici, Stampa alternativa).
Finalista per il soggetto cinematografico a Storie del nuovo millennio 2003 e Premio Teramo 2005.
Scrive di cinema nella rubrica “La schermitrice” su Thriller Magazine.