Ti disturbo?

L-Ti disturbo

Pagine: 140
Formato: e-book
Prezzo di download:
4,20 euro
Collana: Il nostro maggio
ISBN: 978-88-98914-03-6

Il racconto e spesso lo stupore di una giovane donna straniera verso le persone, la vita, le situazioni e la sottile ideologia presente nella comunicazione quotidiana di una nostra grande città, Milano.

Tuttobene? Dimmitutto! Brava! Ciaobella! Buonlavoro! Tidisturbo? Che programmihai? Tranquilla! Seistraniera? Maparlibeneperò!

Leggere, pensare, osservare, scrivere, criticare, costruire. Diffondere allo scopo di cambiare qualcosa, di non sentirci isolati.
Per tutti quelli che almeno una volta si sono sentiti stranieri in questa città.
Anche se sono nati a Milano.

Estratto

DIMMI!
Non mi sono ancora abituata. Dopo quasi  dodici anni di vita qua non mi sono ancora abituata alla parola “Dimmi!”. Poi in realtà dipende dal contesto, perché magari se interrompi una persona involontariamente mentre parla, ti viene spontaneo dirle: “Sì, scusa dimmi…”; oppure quando entri in un bar oltre a “Il solito?” (che amo perché mi da la sensazione di intimità, di appartenza, di accoglienza, di casa), spesso ti dicono “Dimmi…”. E va bene.
Ma proprio non sopporto quando me lo dicono come risposta al telefono. Ogni volta quando sto per chiamare una persona perché voglio sentire la sua voce o quello che le è successo durante la giornata, spero tanto di non sentire il tanto odiato “Dimmi”.
“Ciao Ale!”
“Ciao Sanja, dimmi…”
Ecco, quel “Dimmi” mi è sempre suonato sbrigativo. Spregevole. Come se dessi fastidio. Come se stessi rubando il tempo alla persona che chiamo. E in quel momento mi blocco e non so che dire. Inizio quasi a balbettare e poi dico qualcosa tipo: “No, niente… così, era solo per sentire come stai…”. Chiedo quasi scusa di aver chiamato, di aver rubato i preziosi minuti di una giornata incasinata, piena di cose da fare e senza tempo da perdere, così tipicamente milanese.
Qua non c’è posto per le chiacchiere spensierate, per ciciarare, per raccontarsi le emozioni, le sensazioni, i dolori. Per condividere. Il “Dimmi” è una espressione che sottolinea che, se hai chiamato, allora hai da dire qualcosa o a chiedere qualcosa di utile, di importante.
Insomma, che ti serve qualcosa.
Perché qua non c’è mica tempo da perdere.
E io non mi abituerò mai.

JENNIFER
“La vuoi smettere di aprirmi lo specchietto, lo romperai un giorno!” – dico a Jennifer una mattina alle 5.00, mentre mi avvicino alla macchina per andare in radio.
“Perché, questa sarebbe la tua macchina?” – mi chiede con la sua voce roca.
“Ma che domanda è? Certo che è la mia macchina! E smetti di girarmi lo specchietto per metterti il rossetto…”
“Antipatica.”
“Tu.”
Ho conosciuto Jennifer una sera quando sono uscita tardi con il cane. Lo ha accarezzato e io ho sentito un profumo pesante come le notti che trascorre sotto la mia finestra.
Sei ore. Ogni notte.
“Dovreste smettere di gridare – le dico – Non riesco a dormire.”
“Ah sì? La principessa giornalista non dorme! Figurati! Tanto sei sempre in giro.”
“Ma cosa avete da gridare, guarda che è disturbo dell’ordine pubblico!”
“Sarebbe?”
“Lascia perdere. Basta che non gridate. E non rompere gli specchietti.”
Non so quanti anni ha, né da dove arriva esattamente. Si fa chiamare Jennifer. E ha sottolineato che è come Jennifer Lopez. A volte è nervosa e risponde male. A volte non saluta. A volte sta in silenzio e gira la testa dall’altra parte.
A volte sorride e ha voglia di chiacchierare. Ma mai della sua vita. Spesso invece mi chiede dove ho comprato qualcosa che indosso.
A volte la polizia la porta via, ma succede raramente. Neanche quando i vicini si lamentano.
A volte la gente la insulta dalla macchina e lei lancia loro la borsetta dietro.
La osservo dalla finestra ogni tanto quando non riesco a dormire. E penso alle fotografie di Diane Arbus. I volti dietro i quali c’è un mondo difficile da capire. Il mondo degli emarginati. Dei diseredati. E mi torna in mente una frase di Diane: “Puoi distogliere lo sguardo. Ma quando tornerai loro saranno ancora qui a guardarti”.
Infatti, Jennifer è lì ogni sera. A guardarci.

I SEMAFORI DI NOTTE
La prima volta quando li ho visti ho pensato a un guasto.
Lampeggiavano tutti insieme.
La città sembrava un allegro luna-park notturno con le luci gialle che si accendevano e spegnevano ritmicamente, come se ci fosse un sottofondo musicale. Poi, con il tempo ho capito che qua funziona cosi. I semafori dopo una certa ora diventano giallo-lampeggianti. Per risparmiare? Per dirci “Alt! Pericolo!”? Non lo so.
Vado in radio molto presto e noto che di notte nessuno rispetta le regole che durante il giorno sono un must. Noto anche che durante la notte ci sono molti più incidenti, forse perché la gente torna dai locali e dalle feste un po’ alticcia; forse perché appunto i semafori gialli non sono proprio un idea geniale.
Ma intanto di notte, quando piove, la luce gialla pulsante che si riflette nell’acqua quasi mi incanta, come se la città mi strizzasse l’occhio, come se ci fosse un po’ di sole immerso nel buio cittadino. E quando torno a Milano, dopo un soggiorno all’estero, trascinando la valigia per le strade vuote loro – i semafori gialli – è come se mi dessero il “bentornata a casa”.
La casa con le regole che non capisco ma pur sempre casa.

Recensioni

Sanja Lucic

È nata a Belgrado e vive a Milano.
Come giornalista ha lavorato in radio (Golf Radio, City Radio, Naxi Radio e Radio Politika) anche in condizioni estreme: il 30 aprile 1999, durante i bombardamenti della Nato sulla sua città, viene mancata per pochi metri dalle bombe intelligenti. Gli anni duri della guerra e dell’embargo economico l’hanno resa una persona che non si scoraggia mai e che adora la vita. È laureata in Giurisprudenza.
Il 30 aprile del 2000 si trasferisce a Milano, continua con la professione giornalistica lavorando in radio (Radio Popolare Milano) e scrivendo per molti giornali in Serbia e in Italia.