Pagine: 225
Prezzo di copertina:
15,00 euro
Collana: Sdiario
Formato: brossura
Dimensioni: A5 (15×21)
ISBN: 978-88-98914-37-1
Questo libro nasce dalla volontà degli operatori del CPS (Centro Psico-Sociale) di via Ugo Betti, quartiere periferico milanese ad alta densità di popolazione. La prima volta che sono venuti a casa mia per parlarmi di questo progetto, lo hanno fatto con l’idea che solo uno scrittore avrebbe potuto rendere reale la loro immaginazione, il loro desiderio di raccontare quello che succede in un CPS.
Per raccontarlo al mondo fuori. Per spiegare a chi, come me, non aveva mai messo piede in un centro psico-sociale, il ruolo che ha un posto del genere.
Loro, mi hanno detto, erano privi del linguaggio giusto, della visione giusta: troppo coinvolti, troppo dentro.[…] Il desiderio di tutti coloro che hanno partecipato a questa avventura è di far capire alla gente “fuori”, quella considerata “normale”, che non c’è un recinto oltre al quale vivono le persone che hanno una sofferenza mentale. Non esiste un “noi” e un “loro”. Non esistono i “normali” e i “folli”. Esistono le persone, con le loro storie, le loro esperienze, le loro “voci”, i sogni, i dolori, le speranze.
Ed esiste la possibilità, se non di guarigione dalla malattia, del ritrovamento di un equilibrio tra il proprio io e il resto del mondo. Questa possibilità c’è non solo per chi ha mezzi finanziari tali da potersi permettere cure private, ma anche per chi questi mezzi non li ha. FramMenti testimonia di un’altissima professionalità degli operatori, costretti a lavorare in una struttura fatiscente, priva di mezzi adeguati. (B. Garlaschelli)
Estratto
Il CPS
Il CPS per me è come una serie di fari lungo la costa: i vari terapeuti, le varie attività, mi aiutano a trovare e mantenere la rotta nella mia vita quotidiana.
È un percorso lungo e paziente che ho accettato di fare e nel quale mi impegno meglio che posso.
Devo dire che a volte sono un po’ esigenti: vedono che mi do da fare e mi spingono a fare di più. Poi mi trovo a essere un po’ stanca, ma forse è perché non ho ancora imparato a dosare le mie forze.
A volte faccio una riflessione: alle persone sembra estremamente normale, per esempio dopo un grave incidente stradale, sottoporsi a una fisioterapia e a una rieducazione, magari nell’uso delle gambe. Per la malattia mentale è difficile che si affronti l’argomento in quest’ottica.
Io penso molto, anche alla malattia. È importante capire perché una persona si è ammalata. Ci sono cose, però, che non ricordo o che non affronto. E io credo che una persona capisca cosa è in grado di affrontare. Noi sappiamo quali pensieri possiamo sopportare e quali no.
Io mi sono fatta l’idea che la malattia mentale aggredisca il soggetto più debole.
Gli uomini, l’amore
Per tre volte ho dovuto abortire per gravidanze indesiderate. Io la responsabilità di questi gesti me la sono presa, ho sofferto moltissimo, mi sento in colpa ancora adesso. Ma gli uomini con cui li ho fatti questi figli non hanno preso nessuna responsabilità su di sé. Mi hanno lasciata sola.
Ho sempre amato uomini sposati perché avevo paura di essere maltrattata, come mio padre faceva con mia madre. Pensavo che essendo loro sposati non dovevano vivere con me, quindi non correvo pericoli.
Il sesso è importante quando lo si fa con qualcuno che ti ama.
Non si deve perdere la propria integrità e la propria dignità perché questa è la libertà. La libertà ti fa sentire viva, ti fa andare avanti, ti dà indipendenza.
Bisogna amare se stessi, non buttarsi via come ho fatto io per anni. Mia madre mi ha insegnato ad amare la vita. L’ho persa in un modo pazzesco, e non mi rassegno. L’avevo portata in ospedale perché era caduta in casa. Quando è entrata nel pronto soccorso, non so come, è caduta dalla barella. La notte ha avuto un infarto. Era lì, che stava morendo e io non potevo fare niente. L’abbiamo riportata a casa, volevamo morisse a casa sua, con noi.
Fino all’anno scorso avevo paura ad andare a trovarla al cimitero, invece ora ci vado e mi sento meglio.
Una notte ho fatto un sogno bellissimo: ho sognato che mia madre mi diceva che stava mettendo le ali.
Quando vedo alcuni documentari sulla natura, sul corpo, sulla creazione mi commuovo perché so che è tutta opera di Dio.
Ora non mi fido più degli uomini. Ciò che mi ha svegliata è stata la malattia.
Mi sarebbe piaciuto avere un padre che mi avesse indicato la via. Lui ha fatto quello che ha potuto. Ventisei anni fa mi ha permesso di venire a Milano dalla Sicilia e di farmi una vita. Avrei dovuto studiare, invece non l’ho fatto. Avrei voluto diventare un medico e mi sarebbe piaciuta la ricerca. Ma non ho avuto abbastanza volontà. Ho lavorato e lavoro – sono una collaboratrice domestica – mi sono comperata la casa.
Io volevo che i miei genitori fossero orgogliosi di me.
Io ho voglia di dire quello che ho dentro. Parlo molto. Ma non voglio scrivere, non voglio rileggere le cose tristi che mi sono capitate o che penso.
Qui ci sono degli amici. Abbiamo anche fatto un corso sulla depressione molto utile. Ho imparato cose che non sapevo e che tutti dovrebbero sapere. Perché la cosa peggiore è l’ignoranza. E i pregiudizi.
La pazzia è non farsi curare.
Recensioni
Barbara Garlaschelli
è nata a Milano nel 1965.
E’ tradotta in Francia, Spagna, Portogallo, Russia e Olanda.
Tra i libri che ha pubblicato e che le sono valsi numerosi riconoscimenti citiamo: O ridere o morire; Nemiche; Alice nell’ombra; Sirena. Mezzo pesante in movimento; Sorelle (Premio Scerbanenco 2004). Il suo romanzo Non ti voglio vicino (Frassinelli, 2010) è stato finalista al premio Strega. Ha inoltre pubblicato racconti in raccolte, antologie e riviste.
Il suo sito è Sdiario.com ed è presidente dell’associazione Tessere Trame. Il romanzo Carola è uscito nel 2013 per Frassinelli. Ha scritto con Alessandra Sarchi il reading musicale “Sex & disabled people” (Papero editore, 2015).
Nel 2016 ha pubblicato Ballate controvento con le Edizioni del Gattaccio, e nel 2017 il suo libro Non volevo morire vergine ha girato l’Italia come reading, con musiche di Stefania Carcupino.