(di Isabella Gavazzi)
In un tempo lontano, nel bel mezzo di un prato di erba morbida alle pendici di un’alta montagna, viveva una bella pianta. Era un grosso cespuglio sotto cui la terra era morbida e piena di muschio. Il suo tronco era intricato e nodoso, ma allo stesso tempo affascinante ed accogliente, ricoperto da tantissime foglie gialle all’interno e verde scuro all’esterno, con il bordo morbido e levigato, casa ideale per insetti e lombrichi.
Un giorno di fine estate, quando la frutta e le bacche erano abbastanza mature da poter essere raccolte in previsione dell’autunno e dell’imminente inverno, alle radici della bella pianta si presentò una famiglia di topolini.
«Buongiorno signora pianta. Sono il Signor Topo, volevo domandarle se possiamo utilizzare le sue morbide fronde per ripararci dal freddo e dalla neve. In cambio le daremo parte del cibo per nutrirla e resistere al lungo inverno. Le può andare?»
La pianta rispose con un fruscio di consenso, alzando i rami più grandi per far passare meglio la famiglia.
Il Signore e la Signora Topo erano estasiati dalla bellezza della nuova casa e i piccoli topolini cominciarono subito a giocare, rincorrendosi su e giù per i rami. Anche la pianta era contenta: finalmente sarebbe stata in compagnia di qualcuno, dopo tanti anni passati in solitudine.
L’autunno era già cominciato e la famiglia Topo aveva sistemato la nuova abitazione: le camere erano sotto terra, vicino alle radici più profonde. I topini avevano rivestito tutto con il muschio e con le foglie della pianta. Le provviste erano state accumulate in una zona in cui i rami erano più folti, in modo da evitare che altri animali le rubassero.
La pianta iniziava a credere di aver fatto un grosso errore ad ospitare la famigliola: i piccoli piangevano tutto il giorno e strappavano i suoi rametti per giocare; il signor Topo invitava tutti i giorni i suoi amici, rischiando di far scoprire quel nascondiglio alle nemiche volpi.
«Se ci scoprono anch’io sarò in pericolo. Loro possono correre, mentre la mia sorte sarà quella di essere distrutta dall’impeto di quelle bestie! … però non posso buttarli fuori da qui, sono miei ospiti.»
Arrivò l’inverno e, a causa dell’ultima cucciolata della signora Topo costituita da sei piccoli topini, le scorte di cibo della famiglia diminuivano a vista d’occhio.
«Non credo che riusciranno a resistere, di questo passo!» si diceva la pianta.
Infatti le sue previsioni si avverarono: quando mancava circa un mese alla primavera, le provviste finirono e la famiglia Topo, non sapendo cosa mangiare, scavò in profondità nel terreno, iniziando a sgranocchiare le radici della Pianta. Quest’ultima cercò di dire loro che ciò non era possibile ma il signor Topo rispose imperterrito: «Signora mia, io ho famiglia, Lei no. Lei potrà rigenerarsi in primavera, noi no.»
La Pianta avrebbe voluto controbattere che ciò non era affatto vero. Se i suoi danni fossero stati troppi e profondi, non sarebbe arrivata a vedere il caldo sole estivo: decise però, per il bene dei suoi ospiti, che si sarebbe sacrificata per loro ma, se fosse sopravvissuta, avrebbe fatto qualcosa per evitare di trovarsi in futuro in una situazione del genere.
Quell’anno la primavera arrivò con qualche giorno d’anticipo e la famiglia Topo, per festeggiare, decise di recarsi in visita da alcuni amici, trattenendosi a casa loro per l’estate.
Partiti, la Pianta cominciò, lentamente, a riprendersi.
Le sue radici erano state, per la maggior parte, mangiate; solo una, forse la più grande, si era nutrita grazie all’acqua donata dal poco muschio rimasto.
Arrivò nuovamente la fine dell’estate e, davanti alla Pianta, si presentò di nuovo la famiglia Topo con nuovi figli al seguito. Senza chiedere il permesso, il signor Topo si avvicinò ai rami più bassi con l’intenzione di entrare nella vecchia casa ma qualcosa lo punse: durante l’estate la Pianta aveva fatto crescere, all’estremità delle proprie morbide foglie, delle grosse e dure spine, che non permettevano a nessuno di oltrepassare quella barriera.
Il signor Topo ritentò, pungendosi di nuovo e più di prima. Indignato, con la moglie e i figli, si allontanò strillando: «Quella Pianta è un PUNGITOPO!»
Da quel giorno la Pianta venne soprannominata “Pungitopo” e da allora viene chiamata in questo modo da tutti coloro che le passano vicino.