C’è una magia sottile nel titolo di un libro. Capita di trovarne di meravigliosi, taglienti, abbaglianti, che ti aprono la porta, ti creano un’atmosfera, ti promettono di volare con una parola o una piccola, fantastica frase.
Ti chiedi come hai fatto a non pensarci tu, da tanto è bello.
O come ha fatto a pensarci lui, con siffatta semplicità e siffatto splendore.
Un titolo è forse l’unica cosa condivisa tra lo stile dei libri e il marketing dei libri.
Tra i migliori, a mio parere…
“Vai troppo spesso a Heidelberg” è una raccolta di ottimi racconti di Heinrich Böll, uno dei massimi scrittori tedeschi contemporanei. Uno che non si fa i fatti suoi, che mette il dubbio di qualche giro losco o qualcosa di privato comunque da nascondere, un’osservazione che ti inchioda facendo finta di notare una nullità, accusatorio quando perditempo.
“Sotto il culo della rana”, dell’ungherese Tibor Fischer, riprende solamente un modo di dire magiaro: un posto veramente sfigato, dove è umido e fa freddo, nessuno ti vede o si ricorda più di te, peggio di così non potevi capitare, mai mente umana vi avrebbe ficcato il suo peggior nemico. Fa impressione, in un titolo letterario – regno dell’alto sentire – l’uso del termine che indica il deretano. Ma d’altra parte indica una cosa ben precisa… e gli sciocchi guardano il culo invece della rana e del posto dov’è siede il sardonico batrace.
“Sotto il vulcano” è il capolavoro di Malcolm Lowry, eccentrico scrittore britannico. C’è tensione repressa, in questo titolo. Il vulcano è una cosa lì lì per esplodere, domina placido finché se ne scoccia, è enorme e incombe sulla vita di tutti. Sotto (tutti i titoli con “sotto” suggeriscono problema, malessere, incapacità di uscirne fuori) deve essere ancora peggio, perché senti arrivare il disastro. Oppure non lo senti proprio perché la lava parte da sotto, da molto sotto, e quello che succederà non puoi aspettartelo neanche immaginandolo da ubriaco. Una suspense mai vista, con un titolo così.
“Orgoglio e pregiudizio” è il grande titolo del grande, arioso, sociale romanzo di Jane Austen, inglese. Roba dura, che blocca l’animo e il respiro, che non puoi farne a meno perché è dentro di te da sempre, è viscere e inconscio, sentimento e forza trattenuta, occhi che ti lampeggiano di fronte, pugni stretti, sensualità rattrappita ma pronta a erompere. Ce ne daremo tante, qui dentro.
“L’educazione sentimentale”, gran bel testo ottocentesco di Gustave Flasubert, Francia. Pur mantenendo un fascino leggero, oggi è un po’ un luogo comune, ma all’epoca deve avere fatto scandalo… lancia l’idea che i sentimenti siano da apprendere, addirittura una materia di studio… e l’esordio con “educazione” può far sorgere un’aura di punizione, di dominazione, di redde rationem psicosessuale di fronte a ciò che tutti noi proviamo nell’amore. Molto più perverso di quello che sembra.
“La mela nel buio” è della scrittrice brasiliana Clarice Lispector. Sala da pranzo dopo avere pranzato, attesa di qualcuno, un oggetto – un frutto – lasciato da qualche parte a fare da segnale per un appuntamento, con l’accortezza di non metterlo troppo in evidenza per non farsi scoprire da altri ma con l’angoscia di averlo messo troppo nascosto tanto che chi lo deve trovare può darsi che non lo trovi… una mela poi, a suggerire l’insuggeribile o semplicemente sperare di condividere qualcosa di intimo come il calore di un cibo…. o la nozione di un peccato? Chi sta per arrivare?
“Il sentiero dei nidi di ragno” ci riporta a casa, con il primo grande romanzo di Italo Calvino. Qualcosa di alto negli alberi, di intricato, che non può minacciarci perché è piccolo ma che ci perderà in qualcosa di via via sempre più inestricabile, sentieri che si perdono perché siamo distratti a osservare il sole che filtra da lassù, che portano là dove solo i ragni possono arrivare a farci casa. Operosità pomeridiana, incontri verso sera, passo sapiente di chi abita lì e può guidarti… deve solo fidarti di te, devi farli capire che vuoi uscire da lì.
“Le quattro casalinghe di Tokyo”, ultimo tesissimo romanzo della giapponese Natsuo Kirino. Molta apparenza, molte mattine a tenere in ordine, molti abiti non particolarmente attraenti. Una rete, una tensione particolare lega quattro donne… potrebbero uscire di casa insieme per fare spese o attendere i bambini davanti all’asilo. Fare le sciocche e sparlare dei mariti. Unirsi per qualcosa di atroce. Un titolo così ti invita a sorridere ma ti immagini tutto il contrario.
Un vero capolavoro è “Casino totale”, del crepuscolare giallista francese Jean-Claude Izzo. Non indica nulla di particolare, ma tutto sta andando letteralmente in malora, chi può fermare il casino, chi lo ha provocato, come uscirne, come circoscriverlo se è totale? Casino fuori, ma anche casino interiore, mica ci scappi, fa quasi ridere da tanto è angosciante. Teso, ansimante, disperato, da fine della civiltà… ma anche tutti lì al loro posto pronti a buttarsi nella mischia e darle di santa ragione prima di mollare la ghirba. Il titolo che avrei voluto pensare io.
Due esempi anche fuori dal mondo dei libri.
“Linea gotica” è il secondo album musicale dei CSI (ex CCCP). Il riferimento storico è già drammatico – la zona dell’Apennino dove si fronteggiavano nazifascismi, Alleati, partigiani – ma ci si aggiunge l’archetipo di un luogo confinale, pericoloso, dove tutto pare non attendere che te per pioverti addosso con violenza. Casa in pietra, lampadine fulminate, albe tragiche e di attesa del peggio. Non un dito deve essere mosso.
Chiudiamo invece con qualcosa di sognante con “L’epoca delle prime canzoni”, uno degli episodi dell’opera in 13 film “Heimat 2”, del regista tedesco Edgar Reitz. Un’epoca lontana ma non troppo, più semplice e più sorridente, con un sole tenue che accompagna passeggiate lungo un parco cittadino, timidezza e simpatia, il mondo davanti e la paura di averlo. Una promessa, niente ancora scritto e tutto ancora da vivere.
Gente, che titoli… come facciamo a trovarne di siffatti?
Quanto è bello e vero il tuo post!! Bravo bravo bravo… anche perché parli così di autori che amo molto.
Susanna
“KIO TUTTA CARNE E OSSA”, può essere un titolo accattivante? 😛
Bè, e “Le uova degli angeli”, com’è?
Ciao, Toni!
“Le uova degli angeli” è l’evocazione di una scommessa e un progetto all’inizio confuso. Fa pensare a qualcosa di positivo e soprattutto di inedito, proiettato nel futuro… le uova poi si schiudono, è passato del tempo, una generazione mai vista prima ha portato intelligenza e ideali.
Un titolo ottimo, come un editore può volere di più?
giustappunto, una generazione baciata dal cielo!