(di Nadia Kasa)
Dai primi racconti al romanzo Premio Strega 2017, passando per New York
Paolo Cognetti, classe 1978, vincitore del Premio Strega 2017 con il romanzo Le otto montagne. Ieri sera, lo scrittore è stato ospite del talk Vite parallele presso il Museo del Novecento di Milano, che ospita la mostra New York New York. Lo scrittore infatti è anche un esperto della città di New York e ha scritto diverse guide e racconti su di essa. Tra i più importanti New York è una finestra senza tende e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest.
Diplomatosi nel 1999 alla Civica scuola cinematografica di Milano, per diverso tempo si dedica alla realizzazione di documentari sulla città di New York. Ne rimane affascinato. La New York di Cognetti non è quella scintillante della Fifth Avenue, dell’Empire o di Times Square, ma quella degli edifici con mattoncini rossi e scale antincendio, quella dagli odori poco piacevoli e dalle zone ancora in cantiere. Si tratta di una visione che non è quella del turista, preso a visitare le classiche attrazioni, ma di un vivere la città in maniera vera. Come lo farebbe un qualsiasi americano. Tanti gli scrittori americani citati da Cognetti, tra questi Wallace, Moody e Carver, che lo hanno influenzato e fatto innamorare della letteratura.
La mia esperienza, da europea che visita New York per la prima volta è stata di sbalordimento. Nessuna città è come questa, macchine enormi – da capire che a mio avviso le macchine sono piccole, grandi, enormi, colorate, bianche e nere – edifici altissimi, bar ad ogni angolo, dove puoi trovare tutto ciò che hai almeno una volta sognato di mangiare nella vita – torte al cioccolato, uova strapazzate, ovviamente bacon ovunque, toast di tutti i tipi, muffin… ripeto, muffin. Ciò che ho pensato e che ieri sera Cognetti ha confermato è che: a New York trovi tutto quello che vuoi. Tutti i tipi di confessioni religiose, quartieri dedicati – vedi Little Italy, Chinatown, ma anche di meno famosi – aree per lo sport, musei di ogni tipo.
La città di cui si è parlato ieri sera ti accoglie a braccia aperta. Nonostante abbia un alto numero di abitanti, non si riscontra la frenesia di Milano. Forse marciapiedi più grandi, una ventina di linee della metropolitana e bar a ogni angolo agevolano molto i lavoratori e gli studenti. Cognetti ha fatto riferimento a quanto in una città del genere ci si possa isolare, questo sembra un paradosso, ma è possibile girare New York per settimane senza parlare con nessuno, dice. Una solitudine che lo scrittore conosce bene, vista la sua passione per la montagna.
Le otto montagne
Le otto montagne è un romanzo uscito nel 2016, pubblicato da Einaudi. Ha avuto fin da subito un ottimo riscontro da parte della critica e dei lettori, tanto da portarlo, quest’anno, a essere premiato al Premio Strega. Ma a fare la differenza, oltre che la qualità del romanzo, credo abbia avuto un gran ruolo anche il personaggio Cognetti. Il suo rappresentare, in prima persona, ciò che scrive lo rende autentico e di valore agli occhi del pubblico. Da molti che non ne conoscevano l’aspetto ho sentito dire: «È proprio come lo immaginavo!».
Il romanzo narra la storia dell’amicizia tra Pietro e Bruno. Il primo vive a Milano, il secondo in montagna, dove appunto Pietro trascorre le sue vacanze. I due crescono insieme, tra passeggiate, escursioni con il padre di Pietro, bagni in ruscelli ed esplorazioni di case abbandonate. Con il tempo crescono, ma l’amicizia rimane. A ogni ritorno di Pietro in montagna sembra che il tempo non sia mai trascorso. Bruno è sempre lì ad aspettarlo.
La storia pone due riflessioni: la prima è sull’amicizia, la seconda sulla montagna. L’amicizia tra Pietro e Bruno non conosce tempo e confini. Entrambi hanno le loro vite, Pietro studia e poi dopo il diploma alla scuola di cinema fa diversi viaggi; Bruno lavora in montagna. Tutto sembra fermarsi quando però si rincontrano ogni anno. Si pone attenzione sul tempo trascorso insieme, non su quello “mancato”. Il secondo aspetto è ovviamente la montagna. Entrambi i personaggi hanno un attaccamento nei confronti di questa, come se rappresentasse una forza vitale da cui prendere energia.
Lo stile di Cognetti è semplice, diretto, sintetico, senza giri di parole. Ne usa poche che arrivano al significato tangibile, eliminando il superfluo, in un attento lavoro di scrittura e revisione.
La trama – apparentemente semplice – si rivela poi piena di significato. E di fatto, pare domandare al lettore: cosa conta davvero nella vita?