Non ho grandi frequentazioni con la letteratura degli Stati Uniti. Leggo autori giapponesi, francesi, portoghesi, italiani, belgi, arabi, scandinavi, spagnoli, russi, africani, sudamericani, ungheresi, israeliani… ma gli statunitensi si contano su pochi titoli e pochi nomi.
A parte i grandi di un passato – remoto o prossimo – come Poe, Hemingway, Steinbeck, Pearl Buck, Fante, Salinger.
A parte alcune stelle contemporanee e assolute come De Lillo, la Le Guin, Carver, King (Stefano), Vonnegut, Auster, la Paley e la Morrison.
Mettiamoci pure per far numero Leonard Cohen e Ruth Ozeki (peraltro canadesi, fanno un altro mestiere e hanno scritto un solo romanzo).
Per il resto fatico a incontrare qualche nome che sia riuscito a interessarmi. E non è che non ci abbia provato…
Ai tempi ho letto “Love story” di Erich Segal: uno stile piatto, una storia prevedibile, un romanzo acchiappa-consenso a buon mercato. Neanche tanto: pagine poche, costo alto per le mie tasche quindicenni.
Dopo l’ottimo film, mi sono imbattuto ne “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris: stile piatto, descrizioni di ambiente piuttosto elementari, dialoghi che il film ha sicuramente migliorato, poca tensione. Ho dato la colpa al traduttore, non trovavo giustificazione alla noia provata.
Ho provato poi Grisham… non male come costruttore di trame, ma i personaggi mi parevano tutti uguali.
Poi arrivo a Easton Ellis. Noia mortale. Personaggi anaffettivi e insulsi, verosimilmente come lui. Stile povero e inconcludente, che l’eufemismo raffigurava come minimalista.
Tanta buona volontà di fronte al mito James Ellroy: non scrive certo male, ma ha uno sguardo uniforme su chiunque, tutti sono delle bestie violente ed egoiste, danno solo il peggio di sé, le città sono un ricettacolo di putridità irrimediabile. Ideologico e depressivo.
Qualche anno fa mi regalano “Diario di un’adultera” di Curt Leviant… mollato dopo sì e no cinquanta pagine causa troppi personaggi, stile prolisso e dispersivo, storia che non decolla mai.
Naturalmente ho letto altro, di cui neanche mi ricordo. Né voglio affermare che la letteratura USA di oggi sia di bassa qualità, mica ho letto tutto e non mi azzardo certo a dire una cosa così eccessiva.
Semplicemente, io e lei non ci intendiamo, non siamo fatti l’una per l’altra. Stile, storie, dialoghi… non sono i miei.
Ho anche un’altra teoria. Al cinema, in televisione, sulle riviste vediamo troppi Stati Uniti, ma è più esatto dire che ne vediamo il loro stereotipo fatto di città così e così, sguardi così e così, bottiglie così e così, auto così e così, cadaveri così e così. Tanto così e così che non riesco a immaginare degli USA più originali; probabilmente se ci andassi scoprirei molto di più… ma mentre leggo un libro non riesco a raffigurarmi nulla di diverso degli stereotipi che ho in testa. E così mi ci scoccio, e anche dei loro romanzi di oggi vedo solo i difetti.